Il Dalai Lama, il capo dei buddisti tibetani, ha lanciato oggi da Tokyo un grido d'allarme sul futuro del Tibet '' condannato a morte'' dalla Cina evocando la necessita' di un ripensamento della strategia del dialogo finora perseguita.
''I tibetani sono condannati a morte. Questa antica nazione e la sua eredita' culturale stanno morendo... - ha detto incontrando i giornalisti a Tokyo e in un'intervista a Sky Tg24 - Oggi la situazione assomiglia a una occupazione militare di tutto il territorio.
E' come se fossimo sotto la legge marziale. La paura, il terrore e le campagne di rieducazione politica causano molte sofferenze''. Sono idee che il Premio Nobel per la pace aveva gia' espresso nei giorni scorsi, pur se poi aveva leggermente aggiustato il tiro quando, poco dopo, fu annunciata la visita in Cina di due inviati del governo tibetano in esilio per discutere della situazione con il governo cinese.
La visita dei due inviati, confermata da un comunicato ufficiale del governo tibetano in esilio a Dharamsala nel nord dell'India, e' pero' coperta dal massimo riserbo, e dalla Cina non trapelano notizie. E' cosi' uscito di muovo allo scoperto il leader spirituale del Tibet.
Ha detto che che occorre ora vedere che cosa decidera' il parlamento tibetano in esilio il 17 novembre, quando sara' convocato in seduta straordinaria, con la partecipazione di moltissimi fedeli buddhisati . In quella occasione, il Dalai Lama, che ha sempre seguito la ''via di mezzo'' con i cinesi, chiedendo una piena autonomia per il suo Tibet e non l'indipendenza da Pechino, da raggiungere attraverso il dialogo e la non violenza, potrebbe, come ha piu' volte annunciato, farsi da parte se il parlamento decidesse per una via piu' decisa.
''I tibetani sono condannati a morte. Questa antica nazione e la sua eredita' culturale stanno morendo... - ha detto incontrando i giornalisti a Tokyo e in un'intervista a Sky Tg24 - Oggi la situazione assomiglia a una occupazione militare di tutto il territorio.
E' come se fossimo sotto la legge marziale. La paura, il terrore e le campagne di rieducazione politica causano molte sofferenze''. Sono idee che il Premio Nobel per la pace aveva gia' espresso nei giorni scorsi, pur se poi aveva leggermente aggiustato il tiro quando, poco dopo, fu annunciata la visita in Cina di due inviati del governo tibetano in esilio per discutere della situazione con il governo cinese.
La visita dei due inviati, confermata da un comunicato ufficiale del governo tibetano in esilio a Dharamsala nel nord dell'India, e' pero' coperta dal massimo riserbo, e dalla Cina non trapelano notizie. E' cosi' uscito di muovo allo scoperto il leader spirituale del Tibet.
Ha detto che che occorre ora vedere che cosa decidera' il parlamento tibetano in esilio il 17 novembre, quando sara' convocato in seduta straordinaria, con la partecipazione di moltissimi fedeli buddhisati . In quella occasione, il Dalai Lama, che ha sempre seguito la ''via di mezzo'' con i cinesi, chiedendo una piena autonomia per il suo Tibet e non l'indipendenza da Pechino, da raggiungere attraverso il dialogo e la non violenza, potrebbe, come ha piu' volte annunciato, farsi da parte se il parlamento decidesse per una via piu' decisa.
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